Tanto o poco
Manca tanto o poco? Sì, me lo sto ripetendo da giorni: manca poco al Festival per il calendario ma se guardo l’orologio le ore non sembrano passare. Manca poco per lo staff che corre, rifinisce, appunta, delinea e non si ferma mai.
Manca tanto invece per il pubblico: tanti chilometri per chi viene da fuori e tanta pazienza per chi prepara con attenzione il bagaglio per la quattro giorni.
Sì perchè quando si va ad un festival non si sa mai cosa portare esattamente: tanto spazio (vuoto) per gli acquisti o poco spazio per avere più scelta di vestiti?
Oppure entrambi?
Manca tanto o poco? Beh, c’è da attendere se non altro.
E la sensazione dell’attesa è sempre la stessa, quasi indescrivibile.
Sarebbe come mischiare insieme la sera prima della mattina di Natale all’orologio che batte gli ultimi, interminabili minuti prima della fine delle lezioni in una mattina di giugno, quando le vacanze estive incombono e i colori del cielo sono una distrazione così piacevole.
E anche se mischiassi queste due sensazioni con una terza o una quarta o infinite altre forse non riuscirei minimamente a raccontare cosa vuol dire aspettare e poi vivere, con una rapidità e un’ebbrezza uniche, quei quattro giorni.
Eppure io ho il posto d’onore: vivo a pochi passi dalla manifestazione e la vedo posare le radici, respirare serena, addormentarsi la sera e poi risvegliarsi il mattino mentre si monta (e poi smonta, ma di questo parleremo poi) e cresce sempre di più. Ho la possibilità di raccontarvi ogni dettaglio e forse lo farò ma la manifestazione è come una tela che ogni anno puntualmente, avvolge la città di Lucca e ogni singolo partecipante a questo evento è un pigmento di un colore che non ha nome e che si mostra in tutto il suo splendore unicamente in quei quattro giorni.
E poi Lucca, dicevamo.
Tranquilla, silenziosa, affascinante e storica cittadina dal centro labirintico.
La mia adorata città che per quattro giorni diventa il pianeta dell’Altrove, l’unico posto dove puoi vedere Darth Vader in fila per un panino e sentire accorati scambi e “litigi” al tavolo di un bar su quanto la figura del chierico abbia perso appeal o meno nelle nuove versioni di D&D o su quale sia il miglior fumettista indie per quanto riguarda la realizzazione di gatti supereroi.
Non mi credete? Succede realmente e per primo ne ho preso parte a queste discussioni.
E per una persona che ama incondizionatamente questo mondo fin da quando ci si è affacciato (quindi dal primo respiro sull’Altro Pianeta, quello dove ci si deve vestire “normalmente”) questo vuol dire solo una cosa: essere a casa, essere dove esattamente vuoi stare e condividere le tue passioni con tanta (troppa? Mai) gente.
E chi non conosce questo mondo? Quelli estranei che ancora guardano con occhi strabuzzati il passaggio di un Ryuk o ascoltano, scuotendo la testa, il dibattito su quanto fosse tutto più bello quando si potevano fare i Tornei Tipo I? Cosa dire a quelli estranei?
Dateci tempo: stiamo arrivando!
(e ora manca un po’ meno di quanto mancava all’inizio del post e questa è una buonissima notizia)
di Teo Benedetti