Terra di Nessuno

14 agosto 2015 Senza categoria

Terre_di_Nessuno

Tutte le mappe conosciute della Terra di Mezzo possono essere interpretate in due modi: o servono a farvi rintracciare i posti giusti (o quelli da cui magari tenersi alla larga) oppure riusciranno a farvi smarrire definitivamente. Non ci sono vie di mezzo.
Il lettore attento e appassionato, colui che si è immerso nella lettura della “Trilogia dell’Anello” di J.R.R. Tolkien immedesimandosi nei luoghi e nei personaggi proprio come un vero giocatore di role-playing game, non potrà non scorrere senza emozionarsi le linee di confine della Contea, la terra degli Hobbit, seguendo il percorso di Frodo, Gandalf e tutti gli altri della compagnia lungo la grande via dell’Est, oltre Collevento, fino ad arrivare a Rivendell, la città degli Elfi situata proprio ai piedi delle Montagne Nebbiose che di fatto costituiscono la spina dorsale della Terra di Mezzo. Oltre, ancora verso oriente ma piegando più a Sud , superate le ondulate colline dei coraggiosi cavalieri Rohirrim c’è la meta, il destino, il Monte Fato, situato proprio nel nero cuore della tenebrosa terra di Mordor.
Ma questa è la versione più facile, quella di un Baedeker subdolamente steso in forma di guida, perché l’altro modo di leggere la Mappa, forse l’unico e vero, è quello di andare a perdersi definitivamente nella miriade di luoghi, di fatti, di esseri viventi o inanimati che popolano un mondo perfetto, soprattutto nella sua coerenza temporale. Un mondo che non è utopistico né tantomeno allegorico, che non è una metafora, ma un vero e proprio secondary world, con una precisa cosmogonia ed una perfetta cronologia, una terra dove impera la magia, ma nella quale le ere, i popoli, le guerre, gli avvenimenti come la nascita degli alfabeti od il significato dei nomi e delle parole hanno una loro collocazione precisa ed immutabile. Eh, già, perché il mondo della Terra di Mezzo è lo scenario non solo del “Signore degli Anelli”, ma anche del “Silmarillion” de “Lo Hobbit”, dei “Racconti Ritrovati “ e così via, un mondo dove ad ovest, oltre il Grande Mare che attraversarono gli Elfi c’e l’Isola di Numenor e oltre la catena delle Isole Incantate, si stendono le ancora più mitiche Terre Imperiture.
Ed ecco appunto quello che succede a sfogliare le carte della Terra di Mezzo: si parte da un libro, che ne conduce a un altro, che ti rimanda a un altro ancora, che a sua volta ti conduce a un mito o a una leggenda, costringendo il lettore a non seguire più col dito i percorsi conosciuti, ma strade e fiumi e picchi nevosi e foreste incantate che portano sempre più lontano dalla quotidianità, terre alle quali è assai difficile arrivare, ma dalle quali è impresa quasi impossibile tornare. Oppure mari nei quali davvero è dolce il naufragare.

Dalle immagini e dagli aneddoti sfornati a profusione sull’eccentrico professore oxfordiano, siamo tutti portati a pensare ad un classico inglese vecchio stile, lontano dalle complicazioni del mondo, tutto immerso nei suoi studi di filologia, di miti scandinavi e tradizioni teutoniche, di lingue finniche e celtiche, che poi pone alla base del linguaggio dei suoi svariati popoli (e proprio sul gallese ed il finnico pone le fondamenta del suo linguaggio elfico). Nell’opera di Tolkien, infatti, si parlano non meno di quindici lingue e dialetti diversi, oltre ad una marcata diversità dei suoni dei singoli linguaggio che servono a definire meglio le caratteristiche dei diversi popoli. Ma se questo è il contesto di sereno studioso di campagna che ci viene così spesso spontaneo immaginare, non è in questo mondo a metà tra il rurale e l’accademico che dobbiamo cercare le tracce delle fondamenta della sua monumentale impresa letteraria, ma nelle trincee e tra i campi insanguinati della Somme. Era il 1° luglio 1916, e lungo 36 chilometri di fronte, dopo un incessante martellamento di artiglieria che però era riuscito solo a trasformare la terra di nessuno in un enorme pantano ed aveva lasciato pressoché intatte le trincee tedesche, decine di divisioni e brigate inglesi si lanciarono all’assalto delle posizioni nemiche, soltanto per finire la corsa dopo pochi minuti sotto il fuoco implacabile delle mitragliatrici. Furono migliaia i soldati che rimasero appesi ai reticolati ed alla sera nessuno sapeva più quale fosse la situazione nè dove fossero i vari reparti, e per giorni i feriti cercarono di trascinarsi verso le loro linee scivolando tra i morti ed il fango. Tra essi, tre dei suoi migliori amici. La vita futura del sottotenente J.R.R. Tolkien, allora ventiquattrenne, apparentemente non rimase particolarmente scossa dal trauma delle trincee né dalla grave malattia per cui fu in seguito rispedito a casa, tant’è che mostrò sempre uno spiccato senso dell’umorismo ed una grande voglia di stare con gli altri. Ma un obiettivo se lo era sicuramente portato dietro dai campi di Francia: quello di vincere la morte, anzi di negarla!
E i miti antichi del mondo fantastico della Terra di Mezzo non fanno altro che riprendere i temi dell’immortalità così cari alla mitologia di ogni tempo e paese: gli esseri superiori, immortali, i semidei che vivono incredibilmente a lungo, gli Elfi e alcuni mortali che sono stati scelti dai Valar e vivono una vita eterna al di là dal Mare d’Occidente, mentre quasi tutti i popoli della Terra di Mezzo sono estremamente longevi. E in mille occasioni Tolkien mette in risalto la possibilità di sfuggire, anche se temporaneamente, alla morte, attraverso situazioni di morte apparente e di successive resurrezioni, come nei casi di Frodo (che viene creduto morto ben sei volte), di Bilbo, Pipino, Merry, Aragorn e lo stesso Gandalf. Peccato che nel nostro mondo non esista la magia, perché sennò chissà quanti ne avrebbe fatti tornare a casa di quei ragazzi appesi ai reticolati della Somme, se solo avesse saputo il giusto incantesimo da pronunciare.

rg